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Il falso mito dell’eccellenza made in Italy del caffè

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Di cosa parla questo articolo

Noi italiani, si sa, siamo disperatamente convinti di essere i migliori a fare qualsiasi cosa: dalla pizza al caffè, dalla moda alle case.

Peccato che, questo tipo di approccio alla vita sia riconducibile al classico pensiero che tende a instillarsi in quelle persone che non riescono proprio a guardare oltre la punta del proprio naso.

Infatti, chiunque riesce ad andare oltre con lo sguardo, può rendersi conto che esiste una vasta quantità di alternative altrettanto valide a quelle che sono le eccellenze italiane, per esempio il caffè.

Napoletani, italiani… la verità è che c’è un mondo infinitamente inesplorato quando si parla di caffè e non potete nemmeno rendervi conto di quanto poco ne sappiamo di caffè quando si esce fuori ai confini dell’espresso.

Sì, perché c’è molto più del caffè americano solubile quando l’inno di Mameli diventa un sussurro.

 

Marketing e caffè

A tal proposito, credo che non esista discorso più illuminante di quello fatto dall’imprenditore ed esperto di marketing Frank Merenda nel suo libro 50 colpi di Frank che riporto in maniera integrale qui di seguito.

«Perché in Italia bevete il caffè più di merda del mondo?

Anche se siete convinti del contrario, on Italia bevete caffè di merda. Probabilmente il caffè ormai peggiore del mondo.

E questo perché il bar medio nasce da un patto col diavolo invece che da un’idea imprenditoriale.

Queste apparentemente non sono le battaglie che dovrei fare io. Dovrebbe scrivere di queste cose chi produce caffè “artigianale” ad esempio o chi lo tratta nei suoi locali di livello.

Ma dato che non ce la fanno nemmeno a combattere le loro battaglie, tocca a me.

Ci aiuta comunque a capire il concetto di “caro” e “costoso” in ogni altra attività.

Detta molto brevemente, chi apre un bar sottoscrive col sangue un contratto pluriennale con un’azienda produttrice di caffè che nell’ordine tra i vari bonus:

  • Gli dà i macchinari gratis (che altrimenti il proprietario del bar si dovrebbe comprare da solo)
  • Gli compra il bancone attrezzato (idem)
  • Gli fornisce tutti i complementi come tazzine, bicchieri, tavolini, sedie, ombrelloni da aperto
  • Gli offre denaro come anticipo per partire come finanziamento (quando la banca non lo farebbe)

Ovviamente la quantità di “finanziamenti” che l’azienda produttrice mette a disposizione dipende dalla capacità del barista di trattare le condizioni, quanto è strategico o interessante il bar per l’azienda e altri fattori che non sono interessanti in questo momento.

Questo accade anche con altri fornitori strategici quindi il bar di basso livello è quell’attività che in pratica puoi aprire senza un soldo e senza credito dalle banche perché in pratica te lo finanziano i fornitori.

Ciò detto qual è il risultato per i clienti?

Che in Italia il bar serve solo UNA monomiscela di robusta di bassissima qualità, che fa schifo al cazzo e che corrisponde all’insegna che vedete fuori dal locale.

Quando fate i cannibali ignoranti nazi-italiani, convinti di star bevendo nettare degli dèi… in realtà da 1€ in giù nella maggior parte dei casi state bevendo robusta vietnamita di terza categoria mischiata a merda di topo da stiva, bruciata e tostata male e con muffe cancerogene.

E queste sono le cose positive…

Nello Starbucks più cesso del mondo potete scegliere tra almeno 3 miscele, non parlo delle roastery, e questo accade in tutte le caffetterie del mondo degne di tale nome.

Ora che è arrivato anche in Italia non avete manco più la scusa da provinciale idiota “gli amerigheni si bevono lo sciaquonehh!”

Potete scegliere ad esempio una vellutata colombiana, una profumata brasiliana, una pregiata 100% arabica (che a voi non piace perchè troppo soave e “acidula” rispetto alla merda di robusta bruciata al quale da decenni avete fatto la bocca).

Solo che le dovete pagare.

La merda monomarca senza scelta tipica del bar italiano, che voi vi ostinate a chiamare “espresso” o “o’cafè” è merda pressata.

A meno che non entriate in un locale che espone l’insegna Illy o meglio in una caffetteria di un esperto della torrefazione con le sue miscele che serve in maniera indipendente il caffè “suo”.

Per fare un bar o una caffetteria servono SOLDI.

Perché devi comprarti tutto da solo, non puoi farti finanziare dall’azienda che vende caffè, devi avere i macchinari tuoi e soprattutto una scelta di miscele

o completamente tua nel caso di un maestro della torrefazione

o comunque offrire una scelta indipendente di miscele top e pregiate tra le quali il cliente possa scegliere

Quindi non è difficile: volete solo buttare giù olio da camion cancerogeno alla caffeina? Continuate a entrare pure nei vari bar di vecchi scatarrosi che si sono venduti l’anima al diavolo ai vari brand noti ecc..

Volete bere un espresso buono? Almeno entrate nei locali Illy.

Volete iniziare a imparare a bere vero caffè? Cercate e valorizzate nella vostra città le caffetterie indipendenti che sanno scegliere miscele o torrefazioni arabiche in purezza per voi e fatevi spiegare cosa significa bere un caffè.

E non rompete il cazzo se costa almeno 2€, perchè quello è il prezzo minimo per bere roba di livello.

Un caffè pregiato a 2-3€ è costoso. Merda robusta bruciata di terza categoria a 80 centesimi è CARO.

Ce la fate a non bere più merda a 80 centesimi o peggio?

Capite la differenza in qualunque business a prescindere dal caffè tra “costoso” (di livello alto, non per tutte le tasche) e “caro” (merda venduta a prezzi ingiustificati per la qualità)?

Ve la devo rispiegare perché è troppo difficile?»

 

Ve lo ricordate quando il caffè costava 0,80 centesimi?

Ma un caffè che costa così poco è davvero sinonimo di una vita di qualità? Non per tirarsela ma, effettivamente, la materia prima ha un costo ed è chiaro che un caffè dal costo così esiguo al cliente finale non potrà essere un prodotto di qualità.

È come preferire la Simmenthal alla bistecca, giusto per fare un esempio semplice semplice…

È vero, la vita va via via diventando sempre più cara.

C’è un lucro non indifferente sui costi delle materie prime.

La guerra indubbiamente non aiuta a rendere la situazione migliore.

Ma a prescindere da tutto, la verità inequivocabile è una sola: la qualità ha un prezzo.

Ecco perché Starbucks è l’esempio perfetto per rendere realmente l’idea di quello che stiamo cercando di spiegare in quest’articolo.

Tutto chiaro? Ok, andiamo avanti.

 

L’esperimento sociale

In quanto io stessa esperta di marketing, amo follemente l’area sociologica del mio lavoro (in fondo senza la sociologia il marketing non potrebbe essere oggi il mio lavoro).

E quindi, seppur nel mio piccolo, di tanto in tanto mi diverto a fare anch’io i miei esperimenti social con la mia cerchia di amici… su Facebook!

Perciò, quello che sto per dire prendilo con molta leggerezza perché non vuole appurare assolutamente nulla di scientifico (anche se, spesso, ridendo e scherzando, possiamo fare delle belle riflessioni).

Io credo che questa cosa sia accaduta proprio in questo caso: da un semplice post provocatorio, ho potuto capire molte cose sulla maggior parte delle persone che lo hanno letto e hanno deciso di lasciare la propria opinione in merito.

Il post in questione puoi leggerlo qui sotto.

 

screenshoot

Tutti – e dico tutti – i commenti (tranne uno) parlavano con rancore e nostalgia dei “bei tempi” andati in cui il caffè costava miserabilmente poco.

“Io mi ricordo di quando costava anche di meno.” dice Daniele

“Pensa che a Vienna lo pagai 4 euro.” mi racconta Valeria

“Purtroppo è aumentato tutto anche i beni primari chissà a cosa vogliono arrivare.” continua Grazia

“Fede, un caffè a 1,10€ è ancora troppo poco per giustificare i costi di filiera. Prendo uno dei tanti articoli che ne parlano, ne sanno assai meglio di me.” Fabio è l’unico che commenta andando controcorrente. Chiaramente, non potevo aspettarmi altro da lui in quanto devoto lavoratore del marketing e amatore del buon caffè.

Meno male, aggiungerei, che ha commentato: ho rivisto la luce in fondo al tunnel, seppur fioca.

 

Insomma, è chiaro che la consapevolezza a riguardo è davvero ancora troppo bassa quando si parla di caffè ma non solo.

Tutto questo mi rende amaramente consapevole di quanto gli italiani siano particolarmente etnocentrici e quando sarà difficile uscire da questa condizione di “si stava meglio quando si stava peggio”.

Ma questa è una questione di retaggi culturali e, forse, ne parleremo in un altro articolo…

 

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